Ne vale veramente la pena

Il termine “educare” deriva dal latino e significa “guidare fuori” ed è questo che noi educatori siamo chiamati a fare: accompagnare e indirizzare verso ciò che sta fuori, che è altro a ciò che si è vissuto fino a ieri.

Educare in una comunità mamma-bambino significa prendere per mano una donna e rivivere con lei un passato, talvolta doloroso, ma significativo per poter ripartire e reinterpretare una realtà che non è solo quella già conosciuta ma molto altro. Vuol dire presentarle un’altra prospettiva e accompagnarla verso un nuovo percorso di vita insieme al suo bambino.

Il lavoro dell’educatore è talvolta complicato, frustrante e faticoso ma è profondamente gratificante nell’osservare le sfide quotidiane che ogni nucleo si trova ad affrontare e nelle quali ci permette di prenderne parte.

“Mi chiamo Giada e sono una giovane educatrice di 23 anni.

Era il giorno di Ferragosto, quando con un gruppo di mamme stavamo salendo verso il rifugio Valmalza a Ponte di Legno. Nonostante la fatica del caldo e del sentiero, H. saliva con suo figlio di 9 mesi sulle spalle.

Giunti ormai a metà del nostro cammino, ho cominciato a consigliarle di lasciare che qualcuno portasse il suo piccolo in modo da alleggerirle la salita. Mi ha risposto di no e con un sorriso ha aggiunto che voleva farcela da sola. Sono rimasta al suo fianco per il resto della salita, tra qualche parola e attimi di silenzio. Alla fine H. è arrivata in cima con il suo piccolo in spalle: era fiera del traguardo raggiunto da sola.

Se dovessi spiegare cosa significa per me essere “educatrice” racconterei questa passeggiata: supportare ogni giorno ciascuna mamma nella sua quotidianità, aiutandola ad affrontare fatiche e paure, senza mai sostituirsi a lei, ma affiancandola in ogni passo.”

È significativo fornire alle mamme gli strumenti per affrontare la vita che hanno davanti senza sradicarle dalla loro realtà o sentire il desiderio di cambiarle.

Siamo chiamati a scrivere con loro una parte della vita per poi lentamente lasciare che ognuna di loro prenda la propria strada.

Durante gli anni di studio del corso di laurea viene spesso ribadito e ricordato quanto il mondo del sociale è sottovalutato e poco riconosciuto. Spesso difatti ci scontriamo con i pregiudizi di chi non vede la meraviglia dietro ai piccoli gesti, agli occhi innocenti di un bambino e al sorriso premiante di una mamma. Oggi con queste nostre parole vorremmo dire che se un giorno ci chiedessero se ne vale la pena risponderemmo “Sì, ne vale veramente la pena”.

Essere una giovane educatrice è altresì disarmante ma con il tempo abbiamo capito che anche la nostra giovane età può essere una ricchezza in più per questo lavoro. In un primo momento, infatti, non è semplice porsi accanto ad una donna la quale, seppur giovane, porta con sé un carico emotivo pesante da un passato difficile che le impedisce di vedere oltre a quello che ad oggi ha conosciuto e visto. Non è facile né, soprattutto, scontato che possa immaginare un futuro diverso. Attraverso l’educatore questa opportunità diventa realtà.

“Mi chiamo Vittoria e ho 26 anni, quattro anni fa ho intrapreso il lavoro di educatrice e ad oggi mi sento di dire che educare è un lavoro che si basa sulla reciprocità tra persone che si conoscono e si riconoscono e insieme danno un senso al loro incontro.

Avevo 22 anni quando sono entrata per la prima volta in comunità e di fronte a me c’era una donna di origine nigeriana: mi ha osservata e scrutata con gli occhi di una mamma che vuole proteggere il proprio bambino. Oggi quegli occhi non li dimentico ma li ritrovo ogni giorno, nella quotidianità del mio ruolo che non è solo un lavoro ma una realtà che è diventata per me vita. Ci vuole estrema sensibilità e allo stesso tempo determinazione per entrare nella vita di queste mamme e dei loro piccoli.

Ho capito che il tempo è tutto affinchè quell'ignoto che all’inizio fa paura possa essere domani un posto sicuro nel quale sentirsi a casa”.

A tutte le mamme che ad oggi abbiamo incontrato e a quelle che in futuro incontreremo, auguriamo in ogni momento buio della loro vita di prendere esempio dai girasoli che sanno alzare la testa e cercare il loro sole.